Habemus libertas.

scritto da Sanfedista il 15 gennaio 2008,23:40

Caravaggio, Martirio di S.Matteo, Cappella Contarelli della chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma.

Perchè il Papa ha errato nel rinunziare ad andare all’università "La Sapienza" e perchè le firme contro la sua visita sono un atto di codardia.

Il sottotitolo è un preludio allo sconforto che trasparirà nelle mie parole.

Siamo innanzi ad un paradosso: persone che in nome di una libertà impediscono ad altre di manifestare le proprie idee. Cattedratici e studenti, studiosi, che prediligono la chiusura rispetto all’apertura, che si premurano di raccogliere firme per impedire l’espressione di pensieri. La sapienza, non è questo. La sapienza è confronto, anche violento, di contrapposti per arricchire le conoscenze. La gravità dell’atto non sta nell’azione ma nella fonte. Che un gruppo di giovani atei non voglia il Pontefice nel loro club è cosa normale, che un gruppo di tamburini della conoscenza impedisca la presenza di uno studioso è fatto raccapricciante. Dico studioso, perchè fino alla prova contraria la teologia è una materia su cui hanno speculato le più splendide menti della storia del pensiero: Tommaso D’Acquino, S.Agostino e tutti gli altri che si siano cimentati nella definizione di un’ente morale superiore, sono studiosi e filosofi, proprio come un Pontefice. Altresì grave è la manifestazione di un sentimento così aspro nei confronti di un rappresentante di una religione.

Il relativismo in Italia sembra scaraventarsi solo contro una parte. I cattolici, per una certa intellighenzia, sono alla stregua di feroci ciarlatani ed appaiono come pericolosi esseri portatori di superstizioni.

Il ridicolo è che gli scienziati, atei per professione, sono religiosi ed integralisti più dei cattolici. Il mio buon vecchio sacerdote rispondendo ad una mia domanda mi disse che nella beatitudine c’era posto anche per i non credenti, se avessero condotto una vita non lesiva dei diritti altrui.

La scienza condanna la religione, in particolare quella Cattolica, perchè non scientificamente dimostrabile. Aspetto con ansia la dimostrazione, da parte di questi moderni positivisti, della NON esistenza di Dio che è il fondamento della loro religiosità.

In uno Stato che si professa laico dovrebbe essere garantito ad un filosofo poter liberamente proporre le proprie idee. In uno Stato laico, i diritti dei molti dovrebbero trovare la stessa tutela che trovano i diritti dei pochi.

Gli intellettuali, dov’è l’intelletto(?), dovrebbero difendere tutte le religiosità non solo la loro, dovrebbero preservare non solo le libertà dei pur vessati curdi, dei poveri rom, ma anche i diritti dei pericolosi cattolici.

I socialisti del pensiero si sono arenati fragorosamente sulla loro distorta visione di tolleranza unilaterale. Proprio in virtù della libertà, poi, avrebbero potuto non prendere parte alla visita del Papa, ma garantendo a chi fosse stato interessato il diritto ad ascoltare. Questo non è avvenuto, si è cercato di raccogliere consensi per impedire  a tutti di poter scegliere.

Dove ha sbagliato la Chiesa? La Chiesa ha sbagliato nella rinunzia.

La Chiesa aveva il dovere di tener fede alle aspettative di chi era interessato alla visita, la Chiesa doveva partecipare per dimostrare la vicinanza a chi aveva creduto in quella manifestazione.

Il problema è, però, più ampio; capisco che farsi "agnello tra lupi" è uno dei massimi precetti cristiani, ma Cristo disse anche "Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a mettervi la pace, ma la spada." (Mt. 10:34-39).

La questione, secondo il pensiero di un "Umile lavoratore della vigna del Signore", me, è che la Chiesa di Roma stia perdendo la sua necessaria spinta rivoluzionaria e combattiva, non sono un "dolciniano" (leggete la interessante storia di Fra’Dolcino) ma credo che oggi sia ancor più necessario accettare delle sfide e combatterle alacremente, difendersi strenuamente dagli aggressori; farsi un po’ più lupi in un mondo di lupi, giusto per far sentire ai fedeli, gagliarda, la propria presenza, giusto per attizzare un fuoco che via via va assopendosi.

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Di nuovo sole.

scritto da Sanfedista il 14 gennaio 2008,14:09

Ha piovuto tanto, forse troppo in questo periodo. Ha piovuto sulle buste sparse, sui titoli di giornali, sulle affermazioni degli altri italiani: quelli del nord che hanno scaricato qui i rifuti tossici per anni ed ora non li rivogliono e su quelli del sud che per anni li hanno raccolti senza opporsi e che ora vogliono renderli. Ha piovuto sulla gente manifestante in frotte che si è spenta, poi, alla prima goccia. Ha piovuto su di noi in giacca e cravatta, che corriamo via alla prima acqua, neanche fossimo fatti di zucchero. Ha piovuto sull’asfalto, sulle ruote che calcano la terra, sul vesuvio che sonnecchia e che ci ricorda che i giorni non sempre potranno essere tutti ugali. Ha piovuto su S.Gennaro, che fa il miracolo e fa sciogliere il sangue; se si è sciolto anche quest’anno correrò via da qui con tutte le mie forze quando resterà grumo, non immagino sventure peggiori.

Oggi è il sole sfacciato, che secca, che infrange sul litorale. Io dal mio luogo penso ad altro, compro quattroruote e mi decido a cambare automobile, questa la consolazione che il sole oggi mi offre.

Dovere è potere.

scritto da Sanfedista il 9 gennaio 2008,15:31

Quando continuando a camminare lungo il sentiero lamellato d’oro giungerai finalmente a Lui ti renderai conto che il percorso a nulla è valso.

Te lo diceva la mamma:"non ne caverai nulla di buono". Ma tu non le davi ascolto. "Non mi interessa", pensavi. Ehehe, il menefrego, però, è fatto per uomini di altra pasta.

Piede dopo piede e passo dopo passo il tuo glorioso miglio veniva alla luce. Le uscite di sicurezza avevano la lampadina fulminata e nel fumo non trovavi la via brillante. Come un ciondolo sopra l’oscuro non riuscivi nemmeno a leggere le didascalie dell’anima, le istruzioni erano complicate e la cautela non t’appartiene. La voracita nella grotta premia. Questo ti ripetevi. L’ossessione si era fatta passione, in una caravan serraglio le catene non sono lasche, ma coi polsi consumati le mani non fanno male, e se i legamenti sono forti si sopporta anche un consiglio corretto, per quanto male possa fare.

Lungo la strada, prendedo la scorciatoia, si incontrano i visi conosciuti, i viandanti, li ammaliasti e da quel giorno ti seguono ancora. I ratti serrano la solidarietà quando si tratta di desinare, tu imparasti da loro.

Comandante di un esercito fatto con le tue forze, costruito come un labirinto, con la perizia di Dedalo e la immaginazione del Notaio Ciappelletto. Sollevarti dal magma che incide le nostre terre, sorridere come se si fosse sempre statua da presepe.

Governare il tuo drammatico impero, il tuo premio, il frutto del tuo volere. Se non si leggono le istruzioni però l’impero si consegna alla Patria bagnato di sconfitta e disprezzo.

"Volere è potere, un passo dopo l’altro, volere è potere, che me ne faccio dei consigli." Te lo ripetevi nelle lunghe notti in cui la democrazia marcia ti consegnava la forza; muovevi un popolo, eri il fulmine che cadde quella notte sul corpo del mostro.

Se avessi avuto cautela avresti forse trovato il tuo Oz, uomo di latta, e con esso l’orologio. Leggendo le parti piccole, avresti forse capito che in realtà la visione corretta della vita pubblica è Dovere è potere.

Ora scappano anche i topi dalle fiamme ed è tardi per il tuo "I’m sorry mama".

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Mia follia d’Affrica, non senza conseguenze.

scritto da Sanfedista il 7 gennaio 2008,17:17

Quando mi lasciai andare al gin tonic offerto da un’hostess della Emirates realizzai che un piccolo grano di polvere aveva inceppato il mio meccanismo e che una svolta si era appena consumata. L’aria condizionata non mi scuciva il caldo che avevo lasciato a Dar Es Salaam, lo stesso gin, rimedio unico per i transcontinentali, non riusciva ad ottenebrare la mia mente abbastanza. Ovviamente c’era una lei, in realtà ce n’erano due. Una rappresentava i miei precedenti quattro anni, l’altra le mie precedenti due settimane. In amore spesso i giorni e gli anni si mescolano e i primi, in alcuni periodi della vita, pesano al bilancio più dei secondi.

Mentre l’aereo faceva il suo consueto lavoro, io riordinavo. Un safari, termine oramai ridicolo, una spiaggia bianca, stereotipo harmony, ed una notte di luna (letto questo siete autorizzati a smettere, ho raggiunto il fondo narrativo, ma la verità è stoicamente melensa in questo caso) furono la cornice; una donna più grande di me, abbastanza più grande, fu l’attrice. L’altra donna era in patria ad aspettare che io facessi ordine, forse non in questo modo.

La passione, la nuova, fu spinta sia dalla citata cornice sia dalla citata confusione; il riusltato fu, però, nè stucchevole nè confuso. Prima circospezione, poi sfacciataggine ed infine ritrosia. I soliti ingredienti. Vento, birre affricane e sigarette, ovviamente francesi, impastarono il tutto. L’altra attendeva, mi chiamava e iniziava a capire.

In aereo tiravo le somme intervallate dai ricordi del Plantation lodge, del Kilimangiaro e del Land Rover di mr.Francis, un nero sdentato e malarico, ma con un adorabile sorriso cinico stampato. Lei, in aereo con me ma tre file più dietro, forse aspettava un cambio posti che io non proposi. Si ragiona da soli. Capii che la persona seduta dietro era una tramite che il mio ego aveva apprestato per impormi una decisione, non era, ovviamente, la scelta della mia vita.

Atterrai a Roma, ci salutammo con la promessa di risentirci: avvenne. Ci furono notti al telefono ed un decadentissimo fine settimana al Grand Hotel Ritz di Roma -grandeur napoletana- fatto di albe insonni, di sigarette, di alcool e di tutte quelle cose a cui un gentiluomo in alcune situazioni non può sottrarsi. Ricordo solo che la suite era sempre avvolta dal silenzio, si viveva con lo stesso sforzo con cui una crisalide abbandona la sua forma per rendersi farfalla, ma sapendo, perlomeno io, che non avremmo mai cabrato,  che non ci saremmo mai diffusi all’indolente vento primaverile.

Tutto questo fu fondamentale per la formazione della nuova immagine di me, finalmente modellata sulla profonda conoscenza delle mie esigenze. Passarono i giorni, il vecchio passò con essi, ed il nuovo si fece sommariamente vecchio. Potrei dilungrami su quello che avvenne con la lei dei miei quattro anni precedenti e non è detto che, prima o poi, non lo farò, ma non ora, dico solo che ci lasciammo.

Come dicevo i giorni passarono finchè:

Ero a casa ma fu l’Affrica a portarmi ad una nuova freschissima sera; la conobbi per caso, nella mia città. Sentii finalmente la schiena farsi ala e il silenzio infrangersi; era lei, era il regalo dell’antichissimo continente, era la conseguenza che cercavo da mesi…forse da anni…

Brucia!

scritto da Sanfedista il 4 gennaio 2008,17:27

arte napoletana XXI sec.

Non riesco a capire se il mio titolo è un augurio oppure un’analisi.

Siamo in europa [quasi] unita e quindi mi raggela il pensiero della salvifica constatazione che nel mio quartiere non c’è il problema.

La realtà è che mi ci sono tremendamente affezionato; li vedo lì dimessi, quasi timidi, mortificati dal clamore che hanno suscitato. Reclamavano adozione, un posto caldo dove poter finire la loro onorata carriera, hanno trovato i telegiornali, la politica in gran gala e alcuni corrispondenti esteri. Avrà pensato il cartone del calciobalilla (regalo natalizio a Luchino): "Se avessi saputo mi sarei messo in frac, che vergonga ora". 

A loro mi ci sono affezionato come ci si affeziona ad un familiare goffo, quello zio incapace con le donne, la cugina secchiona; li vedo così. Uno sull’altro poi, mi fanno la stessa pena dei natanti riccionesi il quindici di agosto, durante il canonico servizio di "studio aperto"; qualcuno, spavaldo, racconta la sua storia, i successi con le bagnanti teutoniche, alcuni altri, esitanti, nascondono quei chili di troppo. La gente intorno a loro organizza picchetti, impicca manichini, blocca autoblindi. Tutto sbagliato, nessuno che ne colga la bellezza, non uno che accorgendosi di quell’ultimo pezzo di pastiera che fa capolino dal sacchetto della conad si dica: "però, quasi quasi sul marciapiede ci sta bene". Non una di quelle urlanti Erinni, alacri scudiere di madama Dike, che trovi un po’ di armonia nella consumata termocoperta che giace inerme al centro del quadrivio. Mi spiace, perchè vorrei poter spiegare alla mia gente che tutti questi pittoreschi cumuli sono null’altro che la materializzazione delle loro opinioni espresse in voti e come ogni idea fatta materia, quindi, è arte.

Si perchè al posto di quei cumuli potrebbero tranquillamente esservi pile di schede elettorali con una croce ben apposta sul lato opposto al destro. I rifiuti sono la maniera campana di conteggiare gli exit poll, è la nostra arte popolare, il nostro modo per comunicare un idea. Mi ci sono affezionato perchè tutta quell’immondizia, parlo di quella non umana, è pensante forma artistica e come tale andrebbe rispettata e non bruciata.

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Rocky Marciano, il mio cenacolo ideale pt VII

scritto da Sanfedista il 3 gennaio 2008,17:37

Walcott vs Marciano.

1923-1969, pugile.

Brockton BlockBuster, eh eh…

Magari non ci parlerei di nulla, ma avere davanti a se una delle stille più pure della nobile arte già basta. Campione del mondo, unico ritirato imbattuto. I

Il pugilato è diverso da tutto il resto; è fatto di sudore e viso aperto; l’abbraccio a fine gara fa del pugile una quasi divinità. Il guantone è grondaia, non è membrana. Il colpo dato con l’ultima forza che regala una vittoria è più che metafora, è l’exemplum che andrebbe tenuto a mente in ogni istante della propria esistenza. Condurre al fiato corto, colpire lì dove si è appena aperta una ferita e continuare a martellarla non è crudeltà, è ricamo, è cesellatura d’orafo. Le corde, il tappetto: porzioni di natura ricreata dall’uomo. Il gong finale, un’altra lezione, una sofferta liberazione.

L’arte del resistere.

scritto da Sanfedista il 28 dicembre 2007,18:45

Emile Wauters: The Madness of Hugo van der Goes, 1872. Royal Museums of Fine Arts, Brussels

Il termine resistenza mi ha sempre molto affascinato. Il suo significato ha espanso la sua forma fino a raggiungere le feste.

In questi giorni fatti di piccoli lussi concessi, di albe vigorosamente raggiunte, di insalubri consumazioni, l’umana specie mi è apparsa resistente alla festa. I miei simili nella quotidianità festiva mi rimandavano all’immagine di garruli studentelli, costretti, ad una mostra di Hugo Van der Goes (per gli incliti: pittore fiammingo; "inclito": colto. L’autore ha utilizzato l’aggettivo chiaramente in forma sarcastica).

Naturalismo applicato a visioni fantastiche ed inqueitanti; questa che potrebbe essere una ottima definizione di taluna pittura fiamminga trova una perfetta adesione alle immagini che ho notato tra le stade.

Esseri umani (anche qui sarcasmo), mugolanti, zoppicavano per le vie fatte fiume. Le vesti, ricovero per il sudore; le mani, invase da pacchi con prodotti la cui scadenza era suparata solamente dall’intrinseco cattivo gusto; gli sguardi, da forzati del riposo, da resistenti alle feste. Un truce carnaio di dannati; una cortina difesa da partigiani, da soldati che non accettano di soccombere alla festa.

Una piccola guerra per gli altri, una linea che unisce due punti per me; non che consideri la festa pari alla giornata comune, ma cerco di ricoverarmi nell’unico privilegio che il riposo concede: il tempo. Vivo il trascorrere del periodo come una diritta linea sulla quale ci si possa adagiare, come un segmento che collega due periodi e che cela nell’infinità dei punti da cui è formato un invincibile segreto che non mi interessa svelare, ma di cui ho certezza dell’esistenza.

L’arte del resistere è fatta di lentezza di cinismo e di purissimo egoismo, di cappotti a doppio bottone e di sguardo finemente altezzoso. L’arte del resistere è tramutare l’ansia in docile pensiero con la forza del tempo.

L’arte del resistere è dichiarare la resa incondizionata per la propria superiorità schiacciante. Ci si arrende per vincere, per sorridere del gli altri e fare un piccolo passo indietro.

Un quadro di Van der Goes si comprende ad una prossimità di un metro, si ama facendo tre passi indietro…

Ma sì. Buon Natale!

scritto da Sanfedista il 22 dicembre 2007,18:24

Dovrei parlare della disperata corsa all’acquisto, della folla, della crisi (apparentemente inesistente se si pensa che i ristoranti erano tutti con una fila di almeno mezz’ora), della fine della spiritualità, dell’Italia sempre più zoppa…Non ce la faccio, voglio staccare almeno per questi tre giorni.

Poi se dal primo gennaio da Napoli a Verona voleremo Air France, manco fosse Marsiglia-Lione, se dal 2008 gli sitipendi saranno sempre più divisi in rate da pagare, se l’oroscopo (inorridisco) darà ancora la Patria agli ultimi posti in Europa, se gli spagnoli compreranno la fiat ed i greci rileveranno il Sanpaolo…pazienza, scaveremo una trincea più profonda, rabboccheremo la fiaschetta, ricaricheremo la carabina ed aspetteremo il fischio del capitano per andare incontro alla sorte. Siamo Italiani, ci siamo abituati, ci risolleveremo, magari ci sarà una rivoluzione, magari una secessione, una tangentopoli II, magari troveremo il petrolio nel ferrarese, non lo so, non voglio pensarci, non ora, ora è Natale e ce lo dobbiamo. Se ha ancora un senso questa festa, e lo ha, dobbiamo cercare di sorridere il più possibile e dare il meglio di noi agli altri. Stereotipi natalizi? Ne abbiamo bisogno.

Amici, che dirci se non Buon Natale!

Sinatra: Santa Claus is coming to town.

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Quattro cinesi. Compagni?

scritto da Sanfedista il 21 dicembre 2007,19:21

Piccolo intervento di colore alla ripresa del blog dopo sostituzione computer.

Ieri sera ho avuto 4 ospiti cinesi a cena. Rettore università Shanghai e 3 professori.

Ho scoperto un piccola primizia: il termine "compagno", tanto amato dai nostri comunisti patri, in Cina è a dir poco obsoleto. Hanno tutti riso con fragore quando gli ho chiesto se qualcuno si appellasse più con "compagno". Mi hanno detto che è roba da anni sessanta, da giacche con i colli alla "Mao", hanno aggiunto che oggi il termine compagno definisce "l’essere omosessuale". Ho cercato nel dizionario della Lonely, è così. Chissà che amarezza per i vari Bertinotti, Mussi, Dilibert(i) e compagni…

 

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Pena di morte.

scritto da Sanfedista il 18 dicembre 2007,18:52

E’ di pochi istanti fa la notizia che il pittoresco e tranquillizante carrozzone delle Nazioni Unite ha approvato la moratoria sulla pena di morte.

Non ho mai amato la pena di morte. Non ho mai pensato potesse essere una soluzione. Le questioni che supportano le mie convinzioni sono essenzialmente due: quella morale, marginalissima, e quella, più consistente, funzionale.

Le questioni morali sono dettate da una generica etica "cavalleresca"; con la pena di morte si uccide ad armi impari e questo uno Stato non può farlo se non perchè drammaticamente minacciato.

In guerra si uccide per salvaguardare, si uccide poichè sarebbe irrealizzabile una detenzione massiccia. Ma questo è un altro discorso.

Tornando a bomba sull’argomento, mi dilungo nel motivare perchè la pena di morte non garantisce la funzionalità. La pena di morte non credo sia satisfattoria nei confronti delle vittime, sono morte, ma asseconderebbe un rabbioso spirito dei familiari: lo Stato deve garantire ordine, non vendetta. La pena capitale, inoltre, non attua alcuna forma di rieducazione, badate, uso il termine "rieducazione" che prescinde da un eventuale reinserimento, perchè com’è strutturata consente al detenuto di trovare, paradossalmente, nella morte quasi una sorta di liberazione dalla drammatica ripetività della vita in cella.

La soluzione è una: i lavori forzati.

I miei studi giuridici mi hanno portato alla conclusione che un soggetto nel momento in cui compie un crimine contrae un debito con la società. L’unico metodo per ripagare un debito è con il lavoro. Credo sarebbe più satisfattorio e funzionale imporre al detenuto, che si è macchiato di un crimine, un dato periodo di lavoro obbligato. Il periodo sarebbe commisurato alla gravità del reato, si andrebbe, così, dai pochi mesi all’intera esistenza.

Le famiglie troverebbero certamente una maggiore soddisfazione nel pensare che colui che le ha offese, per il resto della sua vita, dovrà alzarsi alle 5 del mattino e spaccarsi la schiena fino alle 5 della sera, senza alcuna possibilità di sconto. In Italia abbiamo risorse non sfruttabili a causa del costo, elevato, della manodopera; bene, si potrebbero impiegare i detenuti; lavorerebbero in miniera, alla manutenzione stradale, alla bonifica ambientale e via dicendo.

Il detenuto, d’altrocanto potrebbe nel lavoro trovare una consapevolezza e, forse, una redenzione, sarebbe, così, meglio rieducato. Crollerebbero, poi, i costi per il mantenimento dei carcerati, poichè verrebbero finanziati con il lavoro dei detenuti stessi. Insomma la certezza del lavoro: faticoso, massacrante, ma sacro per definizione, servirebbe molto di più al sistema che una prosepttiva di morte per iniezione letale.

Temo però che il solo pronunciare "lavori forzati" faccia saltare sulla sedia parte della politica italiana, che per rieducazione intende "permesso premio" e per reinserimento "indulto".  Amarezza finale.