Mia follia d’Affrica, non senza conseguenze.

scritto da Sanfedista il 7 gennaio 2008,17:17

Quando mi lasciai andare al gin tonic offerto da un’hostess della Emirates realizzai che un piccolo grano di polvere aveva inceppato il mio meccanismo e che una svolta si era appena consumata. L’aria condizionata non mi scuciva il caldo che avevo lasciato a Dar Es Salaam, lo stesso gin, rimedio unico per i transcontinentali, non riusciva ad ottenebrare la mia mente abbastanza. Ovviamente c’era una lei, in realtà ce n’erano due. Una rappresentava i miei precedenti quattro anni, l’altra le mie precedenti due settimane. In amore spesso i giorni e gli anni si mescolano e i primi, in alcuni periodi della vita, pesano al bilancio più dei secondi.

Mentre l’aereo faceva il suo consueto lavoro, io riordinavo. Un safari, termine oramai ridicolo, una spiaggia bianca, stereotipo harmony, ed una notte di luna (letto questo siete autorizzati a smettere, ho raggiunto il fondo narrativo, ma la verità è stoicamente melensa in questo caso) furono la cornice; una donna più grande di me, abbastanza più grande, fu l’attrice. L’altra donna era in patria ad aspettare che io facessi ordine, forse non in questo modo.

La passione, la nuova, fu spinta sia dalla citata cornice sia dalla citata confusione; il riusltato fu, però, nè stucchevole nè confuso. Prima circospezione, poi sfacciataggine ed infine ritrosia. I soliti ingredienti. Vento, birre affricane e sigarette, ovviamente francesi, impastarono il tutto. L’altra attendeva, mi chiamava e iniziava a capire.

In aereo tiravo le somme intervallate dai ricordi del Plantation lodge, del Kilimangiaro e del Land Rover di mr.Francis, un nero sdentato e malarico, ma con un adorabile sorriso cinico stampato. Lei, in aereo con me ma tre file più dietro, forse aspettava un cambio posti che io non proposi. Si ragiona da soli. Capii che la persona seduta dietro era una tramite che il mio ego aveva apprestato per impormi una decisione, non era, ovviamente, la scelta della mia vita.

Atterrai a Roma, ci salutammo con la promessa di risentirci: avvenne. Ci furono notti al telefono ed un decadentissimo fine settimana al Grand Hotel Ritz di Roma -grandeur napoletana- fatto di albe insonni, di sigarette, di alcool e di tutte quelle cose a cui un gentiluomo in alcune situazioni non può sottrarsi. Ricordo solo che la suite era sempre avvolta dal silenzio, si viveva con lo stesso sforzo con cui una crisalide abbandona la sua forma per rendersi farfalla, ma sapendo, perlomeno io, che non avremmo mai cabrato,  che non ci saremmo mai diffusi all’indolente vento primaverile.

Tutto questo fu fondamentale per la formazione della nuova immagine di me, finalmente modellata sulla profonda conoscenza delle mie esigenze. Passarono i giorni, il vecchio passò con essi, ed il nuovo si fece sommariamente vecchio. Potrei dilungrami su quello che avvenne con la lei dei miei quattro anni precedenti e non è detto che, prima o poi, non lo farò, ma non ora, dico solo che ci lasciammo.

Come dicevo i giorni passarono finchè:

Ero a casa ma fu l’Affrica a portarmi ad una nuova freschissima sera; la conobbi per caso, nella mia città. Sentii finalmente la schiena farsi ala e il silenzio infrangersi; era lei, era il regalo dell’antichissimo continente, era la conseguenza che cercavo da mesi…forse da anni…

L’arte del resistere.

scritto da Sanfedista il 28 dicembre 2007,18:45

Emile Wauters: The Madness of Hugo van der Goes, 1872. Royal Museums of Fine Arts, Brussels

Il termine resistenza mi ha sempre molto affascinato. Il suo significato ha espanso la sua forma fino a raggiungere le feste.

In questi giorni fatti di piccoli lussi concessi, di albe vigorosamente raggiunte, di insalubri consumazioni, l’umana specie mi è apparsa resistente alla festa. I miei simili nella quotidianità festiva mi rimandavano all’immagine di garruli studentelli, costretti, ad una mostra di Hugo Van der Goes (per gli incliti: pittore fiammingo; "inclito": colto. L’autore ha utilizzato l’aggettivo chiaramente in forma sarcastica).

Naturalismo applicato a visioni fantastiche ed inqueitanti; questa che potrebbe essere una ottima definizione di taluna pittura fiamminga trova una perfetta adesione alle immagini che ho notato tra le stade.

Esseri umani (anche qui sarcasmo), mugolanti, zoppicavano per le vie fatte fiume. Le vesti, ricovero per il sudore; le mani, invase da pacchi con prodotti la cui scadenza era suparata solamente dall’intrinseco cattivo gusto; gli sguardi, da forzati del riposo, da resistenti alle feste. Un truce carnaio di dannati; una cortina difesa da partigiani, da soldati che non accettano di soccombere alla festa.

Una piccola guerra per gli altri, una linea che unisce due punti per me; non che consideri la festa pari alla giornata comune, ma cerco di ricoverarmi nell’unico privilegio che il riposo concede: il tempo. Vivo il trascorrere del periodo come una diritta linea sulla quale ci si possa adagiare, come un segmento che collega due periodi e che cela nell’infinità dei punti da cui è formato un invincibile segreto che non mi interessa svelare, ma di cui ho certezza dell’esistenza.

L’arte del resistere è fatta di lentezza di cinismo e di purissimo egoismo, di cappotti a doppio bottone e di sguardo finemente altezzoso. L’arte del resistere è tramutare l’ansia in docile pensiero con la forza del tempo.

L’arte del resistere è dichiarare la resa incondizionata per la propria superiorità schiacciante. Ci si arrende per vincere, per sorridere del gli altri e fare un piccolo passo indietro.

Un quadro di Van der Goes si comprende ad una prossimità di un metro, si ama facendo tre passi indietro…

Semplicemente musica d’inverno.

scritto da Sanfedista il 18 dicembre 2007,15:55

Se "la vita è uno stato mentale", come ebbe a dire qualcuno, il pomeriggio di Dicembre è certamente fioca lentezza, è pensiero poco applicato tramutato in nuvola. E’ musica, è Schubert certamente; lo è nel "piano trio".  E’ istante, poco dopo il fulmine poco prima dello scroscio.

Musica d’Inverno, lieve sinonimo di leggerezza elettrica smarrita nella nebbia. 

 

Yukio Mishima, il mio cenacolo ideale pt VI

scritto da Sanfedista il 16 dicembre 2007,18:12

1925-1970, scrittore.

" Il fiore per eccellenza è il ciliegio, l’uomo per eccellenza è il guerriero"

Moravia, affascinato, disse che Mishima era un "conservatore decadente". Yukio Mishima fu il primo raggio di sole nascente che illuminava il secolo più complesso che il Giappone avesse mai conosciuto. Inondò pagine con una perfezione sovrumana, ogni muscolo del suo corpo, curatissimo, era irrorato da un lancinante patriottismo. La sua mente, un legaccio che lo incatenava alla tradizione imperiale.

Formò un esercito, esaltò uno stile di scrittura, fuse il suo essere in tetralogia, scrisse come guidato dal Kendo. Morì con l’antichissimo rito del seppuku, il taglio del ventre, innanzi alle telecamere di tutto il paese, accorse per riprendere l’occupazione di una caserma da parte di Mishima stesso e dei suoi uomini. Ogni centimetro con cui la lama violava la sua carne, allontanava Mishima, non dalla vita, ma da quello che non poteva più essere il suo mondo. Morì come fece morire il suo personaggio in un film. Morì in un giorno denso di significato, onore concesso solo da una sorte benevola o da un’attesa fatta di lucida scelta, curata come a chudere un libro prezioso evitando di far pieghe. 

Gabriele D’Annunzio, il mio cenacolo ideale pt V

scritto da Sanfedista il 10 dicembre 2007,00:15

1863-1938, Compositore di vicende umane.

"L’uomo a cui è dato soffrire più degli altri, è degno di soffrire più degli altri."

Ci sarei arrivato a lui, non sapevo quando. Se solo chiudessi gli occhi affonderei la mia notte nell’inchiostro; li ho aperti e gli spazi, seppur immensi, mi constringono come un falco legato. Bene, D’Annunzio è la musica disco degli anni settanta, ho osato vero? Non voglio dissacrare ma è l’unica immagine che mi viene, un sublime amato dal popolo, il dono del fascino fatto, per la prima volta, chiarezza. Agli austriaci cioccolatini in cambio di merda e un biglietto: "Ognuno dona quel che è". Brillantini immillati dalla stroboscopica. Divisa fuori ordinanza solo perchè più raffinata, la riforma delle giacche per ufficiali non l’accettò mai. Anarchica eleganza? Vado oltre, mi fermo, chiudo gli occhi e lo vedo scendere con "Can’t take my eyes off of you". Chi non ce lo vede non lo ha capito.

Sesso, freddo fuori.

scritto da Sanfedista il 9 dicembre 2007,01:44

…or congiunti or disciolti…

Di corsa a casa, tira vento. Un lampo e le dita smuovono lente i bottoni, prima incerte, poi, via via, il movimento s’accresce, finchè la tua pelle viene descritta dai miei polpastrelli. Un tuo brivido; ansimando reclami il piacere, lo ricerco anche io nei tuoi convulsi movimenti. Il bacino sempre più forte, i muscoli delle gambe irrigiditi, i tuoi piedi dritti come linee.

Tendiamo all’infinito,

rinchiuso in uno spasmo perfetto

mi muovo

t’aspetto. 

Sudore e capelli 

pesano il torace,

odore vorace,

lo ascolti,

t’inarchi come ferita.

Silenzio strozzato

denti serrati

tremori di corde vocali

labbiali.

Odori di splendida vita.

Conosco il tuo corpo,

che fluido

s’allaga sulle mie fantasie.

S’acquieta,

riposo,

attesa,

io oso.

Ritrovo la nuca

ricerco le labbra nel buio

arrivo a contare i tuoi denti

tormenti

t’inarchi di nuovo

cadiamo per terra,

zavorra.

M’anniento,

lucidi gli occhi

mi tocco la faccia

m’aggiusto la testa

ti guardo distesa.

I pensieri, foresta.

Le forze, sedotte.

E tu mi guardi dal basso

allacciata alla notte.

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Humphrey Bogart, il mio cenacolo ideale pt.IV

scritto da Sanfedista il 8 dicembre 2007,01:05

1900-1957, attore.

"Tutto il mondo è tre drink indietro"

Se stanotte dovessero dirmi:"Resuscitane uno!", chiamerei lui. Le cicatrici in un muovere di palpebre, il disprezzo fatto fumo di Chesterfield, le spalle bagnate dalla pioggia. Maschilista, fascista, saggio come l’ultimo giro, come uno schiaffo. Pieno come il silenzio dopo una nota, malinconico come l’intero brano…

L’ultima stilla.

scritto da Sanfedista il 3 dicembre 2007,16:46

—-ROSSO___

L’ultima sigaretta accesa con quella che stai fumando, un tremante saluto sapendo che dall’istante dopo non vi sarà più. La traccia che vorresti sentire fino a consumare il cd, l’ultima stella prima che il sole metta chiarezza, l’ultima goccia di pioggia, che poi è pioggia ma scopri che è molto di più. L’ultimo gas prima del freno, l’ennesimo "si" prima dei "no". Il bottone che chiude tutto il cappotto, l’ultimo dito che entra nel guanto. Il gin ormai intrappolato nel ghiaccio, il tonic che scende e gratta il tratto finale delle gola.

L’ultimo pugno in piena faccia, cadi a terra, la lingua trova una stilla di sangue sul labbro, sa di dolore, di vita, fai forza sulle gambe, inciampi forse, ma il suo sapore non lo scordi più, è una stilla ma in quel momento è un oceano, ci fluttui, ci anneghi magari, ma l’istante dopo sai che sarà l’ultima ed allora te la tieni stretta in bocca.

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Sabbia.

scritto da Sanfedista il 14 novembre 2007,17:32

La rabbia, gli schiaffi, l’incertezza; sabbia.

Il granello di sabbia intorno al quale ho costruito la mia perla adesso splende, ed il castone, non più vuoto, racconta al mondo che le perle di un Fabergè sono sabbia…misera sabbia, preziosa sabbia.

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Maledetti Giacobini

scritto da Sanfedista il 6 novembre 2007,20:11

"Chi vi ha tradito Maestà?", "I giacobini, quei maledetti".

Essere un sanfedista è un po’di più che essere un conservatore, essere sanfedista significa essere un reazionario nel senso ampio del termine; reazione commisurata all’azione. Potremmo gridare "Viva il Re", potremmo gridarlo al popolo basso, ma cosa ne capirebbero? Essere giacobino è facile, si segue il desidero di amministrare in maniera straordinaria. Nell’ordinario si fallisce con il giacobinismo, con gli editti. Se marciammo lo facemmo contro i traditori, contro i giacobini, i patetici idolatri della fantasia al potere. Alle volte la fantasia non è per noi, siamo sanfedisti, fantastici più che fantasiosi…