Di nuovo sole.

scritto da Sanfedista il 14 gennaio 2008,14:09

Ha piovuto tanto, forse troppo in questo periodo. Ha piovuto sulle buste sparse, sui titoli di giornali, sulle affermazioni degli altri italiani: quelli del nord che hanno scaricato qui i rifuti tossici per anni ed ora non li rivogliono e su quelli del sud che per anni li hanno raccolti senza opporsi e che ora vogliono renderli. Ha piovuto sulla gente manifestante in frotte che si è spenta, poi, alla prima goccia. Ha piovuto su di noi in giacca e cravatta, che corriamo via alla prima acqua, neanche fossimo fatti di zucchero. Ha piovuto sull’asfalto, sulle ruote che calcano la terra, sul vesuvio che sonnecchia e che ci ricorda che i giorni non sempre potranno essere tutti ugali. Ha piovuto su S.Gennaro, che fa il miracolo e fa sciogliere il sangue; se si è sciolto anche quest’anno correrò via da qui con tutte le mie forze quando resterà grumo, non immagino sventure peggiori.

Oggi è il sole sfacciato, che secca, che infrange sul litorale. Io dal mio luogo penso ad altro, compro quattroruote e mi decido a cambare automobile, questa la consolazione che il sole oggi mi offre.

Dovere è potere.

scritto da Sanfedista il 9 gennaio 2008,15:31

Quando continuando a camminare lungo il sentiero lamellato d’oro giungerai finalmente a Lui ti renderai conto che il percorso a nulla è valso.

Te lo diceva la mamma:"non ne caverai nulla di buono". Ma tu non le davi ascolto. "Non mi interessa", pensavi. Ehehe, il menefrego, però, è fatto per uomini di altra pasta.

Piede dopo piede e passo dopo passo il tuo glorioso miglio veniva alla luce. Le uscite di sicurezza avevano la lampadina fulminata e nel fumo non trovavi la via brillante. Come un ciondolo sopra l’oscuro non riuscivi nemmeno a leggere le didascalie dell’anima, le istruzioni erano complicate e la cautela non t’appartiene. La voracita nella grotta premia. Questo ti ripetevi. L’ossessione si era fatta passione, in una caravan serraglio le catene non sono lasche, ma coi polsi consumati le mani non fanno male, e se i legamenti sono forti si sopporta anche un consiglio corretto, per quanto male possa fare.

Lungo la strada, prendedo la scorciatoia, si incontrano i visi conosciuti, i viandanti, li ammaliasti e da quel giorno ti seguono ancora. I ratti serrano la solidarietà quando si tratta di desinare, tu imparasti da loro.

Comandante di un esercito fatto con le tue forze, costruito come un labirinto, con la perizia di Dedalo e la immaginazione del Notaio Ciappelletto. Sollevarti dal magma che incide le nostre terre, sorridere come se si fosse sempre statua da presepe.

Governare il tuo drammatico impero, il tuo premio, il frutto del tuo volere. Se non si leggono le istruzioni però l’impero si consegna alla Patria bagnato di sconfitta e disprezzo.

"Volere è potere, un passo dopo l’altro, volere è potere, che me ne faccio dei consigli." Te lo ripetevi nelle lunghe notti in cui la democrazia marcia ti consegnava la forza; muovevi un popolo, eri il fulmine che cadde quella notte sul corpo del mostro.

Se avessi avuto cautela avresti forse trovato il tuo Oz, uomo di latta, e con esso l’orologio. Leggendo le parti piccole, avresti forse capito che in realtà la visione corretta della vita pubblica è Dovere è potere.

Ora scappano anche i topi dalle fiamme ed è tardi per il tuo "I’m sorry mama".

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Mia follia d’Affrica, non senza conseguenze.

scritto da Sanfedista il 7 gennaio 2008,17:17

Quando mi lasciai andare al gin tonic offerto da un’hostess della Emirates realizzai che un piccolo grano di polvere aveva inceppato il mio meccanismo e che una svolta si era appena consumata. L’aria condizionata non mi scuciva il caldo che avevo lasciato a Dar Es Salaam, lo stesso gin, rimedio unico per i transcontinentali, non riusciva ad ottenebrare la mia mente abbastanza. Ovviamente c’era una lei, in realtà ce n’erano due. Una rappresentava i miei precedenti quattro anni, l’altra le mie precedenti due settimane. In amore spesso i giorni e gli anni si mescolano e i primi, in alcuni periodi della vita, pesano al bilancio più dei secondi.

Mentre l’aereo faceva il suo consueto lavoro, io riordinavo. Un safari, termine oramai ridicolo, una spiaggia bianca, stereotipo harmony, ed una notte di luna (letto questo siete autorizzati a smettere, ho raggiunto il fondo narrativo, ma la verità è stoicamente melensa in questo caso) furono la cornice; una donna più grande di me, abbastanza più grande, fu l’attrice. L’altra donna era in patria ad aspettare che io facessi ordine, forse non in questo modo.

La passione, la nuova, fu spinta sia dalla citata cornice sia dalla citata confusione; il riusltato fu, però, nè stucchevole nè confuso. Prima circospezione, poi sfacciataggine ed infine ritrosia. I soliti ingredienti. Vento, birre affricane e sigarette, ovviamente francesi, impastarono il tutto. L’altra attendeva, mi chiamava e iniziava a capire.

In aereo tiravo le somme intervallate dai ricordi del Plantation lodge, del Kilimangiaro e del Land Rover di mr.Francis, un nero sdentato e malarico, ma con un adorabile sorriso cinico stampato. Lei, in aereo con me ma tre file più dietro, forse aspettava un cambio posti che io non proposi. Si ragiona da soli. Capii che la persona seduta dietro era una tramite che il mio ego aveva apprestato per impormi una decisione, non era, ovviamente, la scelta della mia vita.

Atterrai a Roma, ci salutammo con la promessa di risentirci: avvenne. Ci furono notti al telefono ed un decadentissimo fine settimana al Grand Hotel Ritz di Roma -grandeur napoletana- fatto di albe insonni, di sigarette, di alcool e di tutte quelle cose a cui un gentiluomo in alcune situazioni non può sottrarsi. Ricordo solo che la suite era sempre avvolta dal silenzio, si viveva con lo stesso sforzo con cui una crisalide abbandona la sua forma per rendersi farfalla, ma sapendo, perlomeno io, che non avremmo mai cabrato,  che non ci saremmo mai diffusi all’indolente vento primaverile.

Tutto questo fu fondamentale per la formazione della nuova immagine di me, finalmente modellata sulla profonda conoscenza delle mie esigenze. Passarono i giorni, il vecchio passò con essi, ed il nuovo si fece sommariamente vecchio. Potrei dilungrami su quello che avvenne con la lei dei miei quattro anni precedenti e non è detto che, prima o poi, non lo farò, ma non ora, dico solo che ci lasciammo.

Come dicevo i giorni passarono finchè:

Ero a casa ma fu l’Affrica a portarmi ad una nuova freschissima sera; la conobbi per caso, nella mia città. Sentii finalmente la schiena farsi ala e il silenzio infrangersi; era lei, era il regalo dell’antichissimo continente, era la conseguenza che cercavo da mesi…forse da anni…

Brucia!

scritto da Sanfedista il 4 gennaio 2008,17:27

arte napoletana XXI sec.

Non riesco a capire se il mio titolo è un augurio oppure un’analisi.

Siamo in europa [quasi] unita e quindi mi raggela il pensiero della salvifica constatazione che nel mio quartiere non c’è il problema.

La realtà è che mi ci sono tremendamente affezionato; li vedo lì dimessi, quasi timidi, mortificati dal clamore che hanno suscitato. Reclamavano adozione, un posto caldo dove poter finire la loro onorata carriera, hanno trovato i telegiornali, la politica in gran gala e alcuni corrispondenti esteri. Avrà pensato il cartone del calciobalilla (regalo natalizio a Luchino): "Se avessi saputo mi sarei messo in frac, che vergonga ora". 

A loro mi ci sono affezionato come ci si affeziona ad un familiare goffo, quello zio incapace con le donne, la cugina secchiona; li vedo così. Uno sull’altro poi, mi fanno la stessa pena dei natanti riccionesi il quindici di agosto, durante il canonico servizio di "studio aperto"; qualcuno, spavaldo, racconta la sua storia, i successi con le bagnanti teutoniche, alcuni altri, esitanti, nascondono quei chili di troppo. La gente intorno a loro organizza picchetti, impicca manichini, blocca autoblindi. Tutto sbagliato, nessuno che ne colga la bellezza, non uno che accorgendosi di quell’ultimo pezzo di pastiera che fa capolino dal sacchetto della conad si dica: "però, quasi quasi sul marciapiede ci sta bene". Non una di quelle urlanti Erinni, alacri scudiere di madama Dike, che trovi un po’ di armonia nella consumata termocoperta che giace inerme al centro del quadrivio. Mi spiace, perchè vorrei poter spiegare alla mia gente che tutti questi pittoreschi cumuli sono null’altro che la materializzazione delle loro opinioni espresse in voti e come ogni idea fatta materia, quindi, è arte.

Si perchè al posto di quei cumuli potrebbero tranquillamente esservi pile di schede elettorali con una croce ben apposta sul lato opposto al destro. I rifiuti sono la maniera campana di conteggiare gli exit poll, è la nostra arte popolare, il nostro modo per comunicare un idea. Mi ci sono affezionato perchè tutta quell’immondizia, parlo di quella non umana, è pensante forma artistica e come tale andrebbe rispettata e non bruciata.

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Rocky Marciano, il mio cenacolo ideale pt VII

scritto da Sanfedista il 3 gennaio 2008,17:37

Walcott vs Marciano.

1923-1969, pugile.

Brockton BlockBuster, eh eh…

Magari non ci parlerei di nulla, ma avere davanti a se una delle stille più pure della nobile arte già basta. Campione del mondo, unico ritirato imbattuto. I

Il pugilato è diverso da tutto il resto; è fatto di sudore e viso aperto; l’abbraccio a fine gara fa del pugile una quasi divinità. Il guantone è grondaia, non è membrana. Il colpo dato con l’ultima forza che regala una vittoria è più che metafora, è l’exemplum che andrebbe tenuto a mente in ogni istante della propria esistenza. Condurre al fiato corto, colpire lì dove si è appena aperta una ferita e continuare a martellarla non è crudeltà, è ricamo, è cesellatura d’orafo. Le corde, il tappetto: porzioni di natura ricreata dall’uomo. Il gong finale, un’altra lezione, una sofferta liberazione.