la corda
commenti: Nessun commento su la corda (popup) | commenti
C’è poi chi dice che mi sia sposato, chi dice che addirittura abbia comprato casa, viva a Napoli e lavori lì. Chi mi ha visto di recente lo sa bene che sono tutte dicerie prive di ogni fondamento. Sono qui come sempre ad aspettare l’autunno. Che è arrivato. Sono stato in america questa estate, ma non l’america finta, l’america creata a tavolino, ma l’america vera. Gli Stati Uniti. Tutto il resto, il sud e il centro, sono semplicemente luoghi disagiati come gli altri. Ed allora andiamo in Affrica no?
“Sembrare e non essere è come filare e non tessere”. Lo ha detto ieri la nonna, quasi 90 enne. E’ una frase che suona troppo bene per ragionarci su, anche perchè che differenza c’è tra filare e tessere? Oggi chi la conosce la differenza? Come d’altronde tra sembrare ed essere.
Buon autunno a tutti.
Credere significa sostanzialmente sopravvivere.
Parlare del mare increspato, dello scirocco, e di altre condizioni metereologiche, utilizzandole in chiave allegorica è una cosa disonesta. Non sbagliata ma disonesta.
Gli autobus sono rumorosi perchè mal progettati? Ovvero, gli ingegneri della AnsaldoMenariniBus pensavano che avrebbero corso sul parquet?
L’ipocondria è solo una strategia di avvicinamento al concetto della morte. L’ipocondriaco ama la vita molto di più del sano perchè ritenendo di essere sempre malato vive più momenti di sollievo puro, essenziale. Nella finestra tra la fine di una malattia immaginaria e l’inizio di quella successiva ci sono una 20 di giorni estatici. Chi, tra i sani, prova grazia e felicità per 20 giorni di seguito? L’ipocondria è quanto costa agli intelligenti la felicità.
Non credo che alcune persone siano recuperabili. Gli ignoranti e i cafoni, chi non sa vivere decorosamente, sono per me poco più che ingranaggi rotti, che producono brusio di fondo, picchi di fastidioso rumore e vedute disgraziate. L’incedere malfermo, il nutrirsi senza alcuna creanza per il cibo e per la tavola, il parlare mostrando troppo i denti e l’accalcarsi per vedere spettacoli insulsi, mi rendono insofferente verso le persone. Tenere accesa la televisione a cena senza un’interazione tra i commensali è l’abbrutimento incarnato, è la deumanizzazione dello strumento celebrale, ridotto a mero recettore di pensieri altri assunti acriticamente. Fare una cosa del genere è sfidare migliaia di anni di bello sopraffino, recedere agli insegnamenti e agli esempi di Rembrant, Eraclito, Mozart e Caravaggio. E’ mortificare una macchina così preziosa per compiti tanto miserabili. Spegnete la tv quando cenate e conversate.
Evidenziare i propri limiti in pubblico senza combatterli è molto peggio che nasconderli agli altri negandoli anche a se stessi. Il dire “sono così”, non ti assolva ma ti condanna.
La vita è il non fare in tempo a chiudere la finestra per una folata di vento, che il vaso è già caduto.
“Penitenziagite” solevi ripetere.
Sgorgante giallo dal cranio
il pensiero che s’alterna al silenzio.
Rumore pensato, in strisce affettato,
lo usasti per foderarci la stanza,
…col pensiero…che uso bizzarro.
Potevi ben stenderlo come tappeto in navata
L’Ave Maria, la grassa cantante,
che rompe di nuovo il pensiero, sudata.
“Penitenziagite” solevi ripetere.
Eppure a ripensarci, lo schiocco del fustigo non ti piaceva affatto
e il nerbo lo scartavi anche dal filetto
e quante storie, quanto il filo retto
ti piaceva tracciare. Da un lato e dall’altro.
“In mezzo non c’è niente!”
E se io in medio andavo a cercare, lo sciagurato ero io
che trovavo, non tu che seguitavi a celare.
Tant’è che quando scovavo, dicevi “no, no era altro, non questo”.
“Penitenziagite” solevi ripetere
Sgorgante giallo dal cranio
il pensiero. Ancora una volta
credevi di incidere su un lato di marmo
scrivevi in realtà su vetro appannato
che pure allagando di nuovo il mio bagno
non emerge dallo specchio altro che il mio volto offuscato
incorniciato, come sempre da una tua scritta che proprio non leggo.
E’ un periodo in cui mi sento perseguitato da me stesso. L’ombra è una iattura in realtà, perché seguendoti ti ricorda costantemente che ci sei. Il me stesso è ingombrante, opimo per l’appunto, e non sono io. Io non vivo con me vivo con un mio gemello martellante che fa della sua vaghezza la sua forza. Non mi risponde a quasi nulla e quando lo fa è solo per sondare, come un ballon d’essai, ipotetiche strade dagli esiti assolutamente incerti. Sarà che non ho fratelli, sarà che quindi non c’è confronto con un consanguineo coetaneo. Ma la mia ombra mi fa inciampare. Com’è l’altro? L’altro sono tutti i me che non sono come me ora. Questo mi ricorda di come la nostra personalità la possiamo descrivere più facilmente con le negazioni. Cosa non siamo è più definibile di ciò che siamo in un dato momento. Ma è molteplice poichè non siamo molte più cose di quelle che siamo. Questo innegabilmente ci porta turbamenti. Le cose che siamo usciranno sempre sconfitte dalla cose che non siamo, fosse altro che per il numero di possibilità che avremmo. E’ un discorso labilissimo, in cui però secondo me si cela il segreto della felicità. Non inciampare nella nostra ombra, conviverci, ci permette di alleviare di un po’ il lavoro del cervello che macina costantemente ipotetiche strategie per condurci verso altro. Mille strategie. Porte che aperte conducono a biforcazioni, che sommandosi prendono la sembianza di quei giochini con la pallina, in cui nel momento in cui la lanci non sai quale strada prenderà. Puoi solo lanciarla troverà poi lei una strada verso il premio o verso il buco. Rivalutando la passività, il fato e diminuendo la consapevolezza di se e delle possibili scelte, possiamo forse essere più felici. Non saremo mai infatti in più luoghi contemporaneamente ed allora far scegliere agli eventi può essere medicamentoso. Proseguire come la pallina il proprio percorso, evitando poi bilanci è forse uno dei migliori metodi per vivere la vita. Gli eroi romantici sono morti, l’autodeterminazione pure, navigare contro vento per arrivare forse in un luogo dove essere più felici? Investiamo lo sforzo per essere felici qui ed ora, a favore di vento.
Uscire dal w/e, è sempre come risvegliarsi in un posto diverso da quello in cui ti eri addormentato.
…si vince solo quando non ci sono più battaglie ed in amore la guerra è infinita, perché la stessa sostanza di amore è il contrasto; è conciliare due volontà che nate diverse non potranno mai fondersi in un’unica verità ma solo in un ammissibile dubbio
In questo periodo di pausa obbligata (sono alla ricerca di una ricollocazione professionale) mi dedico ad attività da pensionati. Curo il mio basilico sul balcone finchè il tempo me lo consente, cucino – ieri ho preparato un pollo impanato al curry con noci e pomodori secchi tritati e vino bianco – riparo l’auto – ho comprato e sostituito il fanale posteriore – ascolto musica jazz, classica e David Bowie – nello specifico la canzone TIME a nastro -. Mi informo sul tempo e do buoni consigli su come vestirsi e se portare l’ombrello o meno. Ma sopratutto faccio la spesa. Ma non sciattamente come mio solito. Non spinto da basse pulsioni che vogliono assecondare le sollecitazioni del becero marketing. Faccio la spesa con la lista, sì con la lista. Cioè compro, latte, farina, frutta, pasta e tutti quei generi che i mentecatti chiamano “di prima necessità” e che fino a ieri per me erano “superfluo”. Mi si è aperto un mondo. Vedi la vita è bella proprio per questo. Le persone intelligenti cercano sempre di migliorarsi e capisco poi che i mentecatti non sono mentecatti, ma persone che hanno una lista.
Ora a me le liste fanno abbastanza schifo. Ho una discreta memoria e sopratutto mi ricordo esattamente le cose che voglio. Quindi tendenzialmente non mi servirebbe una lista. Ma mi rendo conto che nella vita non ci sono solo le cose che si vogliono ma anche le cose che servono ed ecco che salta fuori l’utilità della lista. Cioè il Martini lo vuoi, la salsa al tabasco pure, le patatine San Carlo Grill anche, ma la passata no eppure è alla base di tutto ed allora pur non volendola la devo comprare e dato che non la desidero non me la ricorderei se non con una lista.
Ci sono però alcuni vantaggi della lista; su tutti gli occhi orgogliosi delle vecchiette che frequentano il supermercato alle 11 di mattina e che ti scrutano ammaliate. Le vedi che t’ammirano e vorrebbero anche loro un nipote così. Alto, bello e che fa la spesa con la lista proprio come loro, un giovane ma come loro! Non stanno nella pelle. Magari però il loro nipote lavora a differenza mia, ma le vecchie non ci pensano. I vecchi pensano solo alle cose immediate, giudicano d’impulso, d’altronde il tempo per grandi ragionamenti e speculazioni assolute non lo hanno, perchè non hanno più molto tempo. Non come me che rifletto su tutto e poi magari crepo domani e la vecchietta che incrocio sempre, quella con i capelli azzurrini, chiederà “ma che fine ha fatto quel giovane tanto distinto con la lista?”.
“E’ morto signora, circa un mese fa”
“Ah che disgrazia, mi scusi ma l’offerta volantino sui wurstel di pollo c’è ancora?”
Giorgione Ritratto di vecchia, cm. 68 x 59, Gallerie dell’Accademia, Venezia
Ero in Nuova Zelanda qualche anno fa. Avevo un amico indiano. Wasseem Parker. In realtà si chiamava Parkaar, solo che lo inglesizzava perchè faceva più British Empire. Una sera bevevamo una birra tutti insieme in giardino. Il sole tramontava e lui si alzò e andò via rapidamente. Gli chiesi perchè. Lui rispose che gli indiani non guardano mai il sole tramontare perchè non è di buon augurio. “Bella cazzata!”, pensai.
Noi europei siamo eurocentrici, un popolo blasè, cinico ma molto compassionevole che ritiene che le convenzioni differenti dalle nostre siano semplicemente inadeguate o, peggio, rozze o ridicole. E quando invece non lo pensiamo è perchè siamo radical, etnomaniaci e fintamente sciovinisti, che poi diciamocelo la cucina etiope la mangiamo solo noi, che in Etiopia si muoiono di fame.
Questo solo perchè abbiamo inventato la democrazia, il concetto moderno di impero, le infrastrutture di massa. I divertimenti, gli sport, l’illuminismo, la musica pop, il rock, la musica classica, l’impressionismo, la filosofia, il comunismo e il fascismo. Noi europei siamo ancora fortemente legati alle questioni di principio, contrari alla pena di morte, i più sostenibili del pianeta, con le nostre auto euro 5 e poi 6 e 7. Noi abbiamo tirato su il concetto moderno di città e dei mobili componibili. I sindacati e il ’68. Siamo quelli che hanno dato il nome ai paesi del mondo. Tu ti chiamerai America, tu invece Jamaica, tu Liberia o Arabia…Ci siamo arrogati il diritto di fare il calendario del mondo e decidere le ore dei paesi ma anche fissare le misure. Il metro, la iarda o il miglio. Siamo gli unici a cui davvero interessa dell’effetto serra e dello scioglimento dei ghiacciai, noi e qualche americano hippy deriso dai più che crede pure che il 21 dicembre finisce il mondo.
Beh io credo fermamente che a furia di evolverci siamo invecchiati prima. A furia di sopportare il peso del globo come Atlante, siamo finiti con la schiena rotta e sulla sedia a rotelle. Ci chiamano colonizzatori, ma siamo le vittime del nostro crimine. A furia di fare i maestrini saccenti, a furia di prendere il tè alle 5 pm, a furia di esportare pizza o caffè ristretto, abbiamo fatto la fine di quelle mamme nordamericane: top manager, eccellenti cuoche di torte per la gara dei bambini, sempre sorridenti e depresse. L’antidoto, o la soluzione, non c’è, anche perchè chi scrive è un europeo e quindi non riesce a vedere modelli validi oltre il proprio continente, ma sento, ho la percezione, che ci sia qualcosa di errato. Non mi piacciono i primi della classe perchè sono quelli che finiscono prima di tutti e, quando buoni, ti aiutano con i compiti sopratutto se sei magari un po’ ritardato. Siamo quelli che troviamo commuovente un tramonto ma siamo anche sempre consapevoli che è un fenomeno astronomico. Siamo top manager e prepariamo ottime torte. Indossiamo il casco per andare in bici e il giubbottino catarifrangente quando foriamo. Ma vi rendete conto? Ma di cosa vogliamo morire? Siamo così arroganti che vogliamo essere eterni. Bombardati come siamo da campagne contro il fumo, l’alcool, la droga, il melanoma, il tumore al polmone, abbiamo lo yogurt contro l’osteoporosi, la regolarità intestinale e le difese immunitarie. Ma di cosa vogliamo morire noi europei? Con i nostri piani vaccinali e i nostri 100 airbag? Con i nostri parafulmini e i limiti di velocità. Con l’alimentazione corretta e il giusto apporto di sali minerali. Con i nostri aerei sempre più sicuri e le nostre case finalmente libere dagli incidenti domestici? Ci siamo montati la testa. E Dio o chi per lui ci punirà. E’ così. Nessuno l’ha fatta franca così a lungo come noi.
Perchè se, come si dice, c’è un po’ di Dio in ognuno di noi, beh la parte di Dio che è in me mi dice che i primi della classe sono insopportabili e che alle volte meritano di essere presi a pedate e cacciati dall’aula, con un applauso sentito e scomposto dei ritardati che finalmente liberi potranno ricominciare a mangiare sereni e avidi pastelli a cera.
…il rischio dei ricchi è vivere nell’ossessione che la gente si avvicini a loro solo per la ricchezza…
finiscono in questo modo per essere solo dei cardini che incardinano zeri.