il filo, la caverna, la primavera,

scritto da sanfedista il 30 novembre 2013,22:30

ogni tanto provo a illuminare il buio della grotta

cadenzo la torcia, accesa/spenta, accesa/spenta

ad immitar l’sos che vidi una volta in un film di guerra.

Sono qui con l’estremo della corda in mano, il mio estremo

e di tanto in tanto lancio un urlo dentro

nulla; ribolle solo il vento che inarca la spelonca.

Comincia a piovere ed io fuori strattono un po’ la fune,

impaziente, che di te non ho più senso

la mia Arianna. Non ricordo nemmeno quando entrasti,

se era giorno, notte, estate o inverno, forse autunno.

ma mi dicesti tieni stretto questo, è il filo, il nostro.

Ed io con il filo in mano temo sempre di più sia solo mio

ma non lo lascio e vado via, fosse anche che aspetto solo buio

che da dentro non esce.

e tu magari sei sbucata all’altro capo abbandonando il cavo

ti sei gettata nella primavera. Oppure no e già da ora stai invertendo il passo.

Io non lo so e nel dubbio, che è la ragione nella  speranza, continuo fermo

e, intanto,  mi riparo dalla pioggia.

eri come fra’ Dolcino

scritto da sanfedista il 20 novembre 2013,16:35

“Penitenziagite” solevi ripetere.
Sgorgante giallo dal cranio 
il pensiero che s’alterna al silenzio.
Rumore pensato, in strisce affettato,
lo usasti per foderarci la stanza,
…col pensiero…che uso bizzarro.
Potevi ben stenderlo come tappeto in navata
L’Ave Maria, la grassa cantante,
che rompe di nuovo il pensiero, sudata.

 

“Penitenziagite” solevi ripetere.
Eppure a ripensarci, lo schiocco del fustigo non ti piaceva affatto
e il nerbo lo scartavi anche dal filetto
e quante storie, quanto il filo retto
ti piaceva tracciare. Da un lato e dall’altro.
“In mezzo non c’è niente!”
E se io in medio andavo a cercare, lo sciagurato ero io
che trovavo, non tu che seguitavi a celare.
Tant’è che quando scovavo, dicevi “no, no era altro, non questo”.

“Penitenziagite” solevi ripetere
Sgorgante giallo dal cranio
il pensiero. Ancora una volta
credevi di incidere su un lato di marmo
scrivevi in realtà su vetro appannato
che pure allagando di nuovo il mio bagno
non emerge dallo specchio altro che il mio volto offuscato
incorniciato, come sempre da una tua scritta che proprio non leggo.