Gli uomini si servono delle parole solo per nascondere i loro pensieri

scritto da Sanfedista il 5 febbraio 2009,18:13

La S.V. è invitata all’hotel X di X, è stato selezionato per l’annuale seminario che si terrà sul tema della X. Non era un invito a soluzione matematica ho semplicemente omesso le cose non importanti.

Questo accadeva esattamente un anno fa. Partii qualche giorno dopo con un mio buon amico, anch’egli invitato. Faceva freddino, caricammo l’automobile e preparai un cd per il viaggio, ero felice davvero. Trascorsi tre giorni equamente suddivisi tra la noia seminaresca e la follia notturna, in un ambiente cameratesco che non vivevo dal viaggio di licenza liceale. Mangiammo bene davvero in quei giorni, bevemmo anche meglio, alla sera era d’obbligo il vestito ed io l’indossavo con piacere. Ho conosciuto in quel frangente persone prevalentemente squallide, ma il mio cellulare non taceva per un istante, ed io mi sentivo il centro prevalente di un piccolo universo.

La notte sgattaiolavo fuori la camera e con altri si cercava posti dove trascorrere il tempo fino all’alba. Una sera tornai ubriaco ma feci finta di nulla per poter guidare. Sapevo che quei giorni illuminati da una luce obliqua, fredda, avevano comunque qualcosa di accogliente. Sapevo che quei pomeriggi presto inghiottiti dal buio erano in qualche modo speciali.

Non vissi amori se questo è quello che può interessare, mi accorsi invece della bellezza della banalità, del cliché. Non volevo più tornare, amavo la malattia nella quale stavo vivendo. La malattia del sapore dolciastro della squallida fuga.

A casa mi aspettava un’occupazione per la quale non mostravo inclinazioni, affinità, una relazione che traballava tragicamente ed un futuro di cui non volevo occuparmi.

Oggi pomeriggio non anelo fughe, ma il mio telefono non squilla e questa forzata convalescenza -come sto iniziando a chiamarla- mi sta lentamente portando al distillato più puro che il nulla produce: la noia.

A breve incomincierò una nuova esperienza professionale, che sarà quella che mi terrà occupato per il resto della mia vita, ne sono molto felice, come sono felice di chi mi è accanto…oops…il cellulare ha squillato, dovrei forse cancellare tutto quello che ho scritto sino ad ora? No, perchè lì vi ho riposto i cattivi pensieri di un pomeriggio ed è bene che rimangano ichiodati alla pagina e poi Ils… n’emploient les paroles que pour déguiser leurs pensées.

mala tempora currunt, englaro tv

scritto da Sanfedista il 4 febbraio 2009,11:49

Ho proprio bisogno di una sigaretta. Ne ho bisogno perchè è meglio avere alcune dita impegnate mentre si scrive, così si ragiona meglio.

Eluana Englaro morirà di qui a qualche giorno, premetto che io sono contrario, lo sono perchè l’idea che si lasci morire qualcuno di fame e sete mi disgusta, mi disgusta pure il fatto che si dica che non soffrirà, chi lo sa? Sarebbe meglio, nel caso in cui non se ne potrebbe far senza, una iniezione, magari tripla dose di morfina e il cuore dolcemente si spegne…ma le leggi latitano e comunque la coscienza è personale.

Il punto di oggi è il reality Englaro,  l’ambulanza che corre nella notte, la faccia del padre, i servizi con le sue foto, i bollettini orari di dov’è di quando è arrivata, della clinica dove morirà. La fame morbosa di notizie non sempre deve essere assecondata ed il giornalismo dovrebbe avere alle volte il pudore del silenzio, invece i nastri girano, i giornalisti si truccano, i fari si accendono ed Eluana finisce per essere inconsapevole protagonista di un necrofago grande fratello.

No hay banda, silencio…un tragico playback con cui quasi si attribuiscono dichiarazioni ad una persona in coma da 17 anni. Abbiamo passato, ancora una volta, il segno.

social card

scritto da Sanfedista il 2 febbraio 2009,16:56

…supermarket romano…

Il sanfedista è in fila alla cassa con abbondanti scorte di libagioni voluttuose: cioccolate di ogni sorta, patatine, salse varie, patè e delizioso vino. E’preceduto da anziano signore che al momento del pagamento si incurva su se stesso e come vergognato armeggia con il portafogli, fà cenno alla cassiera e chiede dove bisogna firmare "sa io non ho mai avuto una carta di credito", poi passa questo lembo di plastica rovesciato, la cassiera intuisce, la striscia e gliela rende nascosta da una busta, il vecchietto prende un portadocumenti in pelle con su scritto "Socio Touring Club 1977" e ripone  la tessera dentro, facendo ben attenzione che nessuno vedesse. Poi mortificato imbusta e va via aggiustandosi gli occhiali.

Trattavasi di social card, ovvero la certificazione statale di povertà.

Non dico che dare 40 euro in più al mese sia un errore, chi potrebbe dirlo? Dico solo che ad una vasta pletora di strapagati rappresentanti popolari poteva venir alla mente idea migliore che una carta di credito anonima, invero riconoscibilissima, che sottoponga il malcapitato ad uno strazio del genere.

La consolazione è che dalle buste del vecchietto facevano capolino due bei fiaschi di vino, di quello dozzinale badate, ma l’ebrezza consolatoria fortunatamente non ha etichetta, a differenza della povertà.

(in foto la social card; il servizio è offerto dalla mastercard, per tutto il resto c’è il furto, evidentemente)

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