La vita di un tale Harald

scritto da sanfedista il 9 maggio 2012,18:09

Il pavimento a scacchi del salone obbligava Harald a prestare la massima attenzione a dove metteva i piedi. Il suo cervello gli indicava di porre i passi solo sulle mattonelle bianche. Ogni movimento quindi era soppesato e valutato attentamente. I suoi occhi fissavano il pavimento con lo stesso cipiglio con cui quelli di una signora valutano i cocomeri al mercato. Ogni brava donna, in verità ogni bravo essere umano a prescindere dal genere, ritiene di essere in grado di selezionare attentamente i cocomeri migliori da acquistare. Tutti hanno un loro metodo, un loro luogo di tastatura della cucurbitacea. Ogni macchia gialla o nera è un indizio, ogni rumore, tonfo o secco, un messaggio che fa propendere per la scelta o lo scarto. In caso di dubbio, qualsiasi dubbio, si contatta l’eventuale accompagnatore, che ben felice di applicare la propria metodologia di scelta consiglierà quale tra i vari è quello da comprare. Mediamente le persone trascorrono più tempo nella scelta dell’acquisto di un melone piuttosto che nella valutazione sull’acquisto di un cellulare, nell’assunzione di un medicinale o nella stima d’impulso se si trovano o meno innanzi a un decoroso partner per una gita o per una vita. La scelta di un melone tra l’altro è l’unica azione socialmente accettata che un maschio può compiere al mercato. Quasi ci volesse la freddezza di un uomo e la sua capacità di rompere il traccheggiamento, prendere il coraggio a due mani e caricare l’agoniato frutto estivo in auto. In realtà poi il melone si scopre essere buono o meno solo all’assaggio. Dipende dal caso. Harold non lasciava nulla al caso. Il suo cervello friggeva di terrore nello sfiorare solamente una mattonella nera. Per lui era del tutto normale. Doveva raggiungere la sedia, ma la via era aguzza. Sotto le mattonelle scure si celava probabilmente una atroce lava o un diabolico veleno, o qualsiasi altra metafora che il cervello gli suggerisse per vestire di assurdo e incomprensibile la sua reale motivazione, il suo reale sprone. Perché in verità Harald odiava, ma non lo sapeva, non avere le situazioni sotto controllo.

Si caricava quindi di regole che potessero normare ogni singolo accadimento. E così il tappo della vasca andava staccato con la sinistra, la sveglia andava messa alle sette e ventitré e qualsiasi calciatore che avesse crossato esattamente all’altezza della linea d’aria del portiere sarebbe incorso in una qualche mastodontica ira divina. Come per il resto, in questo caso la sua regola gli aveva impedito il nero. Gli era proibito. Claudicava quindi incerto sul bianco. Passo dopo, passo in avanti. Come un pedone su una scacchiera. O come un alfiere? Harald incominciò ad essere soffocato da questo dubbio. “E se invece fossi un alfiere? Dovrei allora muovermi in diagonale.” Avanzando coi pensieri, che a questo punto lo martellavano, e rimanendo assolutamente immoto con il fisico, si disse che se fosse stato un alfiere non sarebbe mai stato in grado di muoversi in avanti, nemmeno per un mezzo passo. Perché l’alfiere semplicemente non può farlo. Doveva per questo essere per forza un pedone. Non era alto e robusto come una torre, non era raffinato come un re e neppure femmineo come una regina. Era un pedone. Discorso chiuso.

Rinfrancato dalla considerazione riprese a camminare con maggior vigore, quasi che la divagazione scacchistica gli avesse fatto superare l’ansia del mattone nero. La sicurezza però durò solo per pochi passi.  Scorse infatti una mattonella bianca scheggiata e stuccata con una calce ambrata. La purezza era indubbiamente compromessa. Quella non era una mattonella bianca. Probabilmente lo era stata, in un lontano passato o ieri la questione non cambiava. La mattonella scheggiata non era bianca. Fece per muoversi al lato ma si ricordò di essere un pedone. I pedoni, come sanno anche i principianti del gioco degli scacchi, non si muovono lateralmente. Piombò in un buio panico. Di nuovo. La situazione stava velocemente degenerando. Si trovava come al centro di un letto di un fiume in secca, proprio nell’istante in cui avevano aperto la chiusa a monte. Sentiva l’aria arrivare e tra poco sarebbe stato invaso anche dall’acqua. Sarebbe finito travolto. Era solo. Al centro della sala, circondato da mattonelle nere e con l’unica mattonella bianca a portata di passo, irrimediabilmente scheggiata. Sono questi i casi in cui è importante mantenere la calma. Si ripeteva in testa, lo scenario, come se fosse un mantra. “Allora io non posso toccare le mattonelle nere ma solo quelle bianche, sono un pedone, quindi non posso che muovermi avanti, né a lato né dietro né in diagonale, ma davanti a me c’è una mattonella bianca scheggiata, quindi non è una mattonella bianca, non è una mattonella bianca, non è una mattonella bianca, non è una mattonella bianca…ma nemmeno nera!”. Esclamò a voce alta con l’allegria di chi viene a capo di un garbuglio. La questione non era però risolta. Va bene che non era nera però non era nemmeno bianca.”E se non è né nera né bianca significherà che dovrò starci in equilibrio su un piede solo.” Così fece e la soluzione risultò soddisfacente. “Ben fatto Harald”. Si sarebbe stretto la mano, se la qual cosa non gli avesse fatto perdere l’equilibrio. Di lì fu facile: la mattonella bianca successiva risplendeva integra, e raggiungerla con un saltello fu impresa minima.

La sedia si avvicinava sempre di più. Una bella sedia imbottita. In velluto rosso e scheletro in oro. Cardinalizia. Harald sentiva già il sollievo alle gambe finalmente libere dal suo peso. Il morbido tessuto sotto le terga e il sostegno saldo alla schiena. Un perfetto angolo retto avrebbe di lì a breve ospitato il bacino e la schiena. Perfetto perché l’angolo retto è quello più indicato per ospitare un uomo seduto. Certo però non sembrava poi così pulito quel panno rosso. Harold odiava la sabbia e quindi la povere. La sabbia è così, come la polvere, rovina le cose. La sabbia di mare ti fa affondare fino a un certo punto poi l’alluce semplicemente non riesce a scendere oltre. E poi te la ritrovi nei costumi, nelle tasche, nelle scarpe e continui a toglierla dalla macchina fino all’inverno.  Harald proprio non amava la sabbia. Si accumulava in massa sulla spiaggia, senza che apparentemente nessuno ce l’avesse messa. Anzi, la gente la portava via, il mare la mangiucchiava, però anno dopo anno sempre lì sul lido. Harald pensava che il governo di notte lanciasse sabbia sulle coste. Aveva sempre bisogno di una spiegazione e quando non la aveva poiché la sua visione del mondo era parziale inventava delle scorciatoie e ci credeva fermamente, difendendo la sua teoria in pubblico.  Rischiava in questo modo di risultare pazzo. Ma a ben guardare Harald era pazzo. Un pazzo ortodosso. Un pazzo prevedibile e ortodosso. Condizionato dalla regolamentazione personale degli accadimenti. Harald tra l’altro era anche parecchio egotico. Ma il suo egoismo era una spinta necessaria di auto preservazione darwiniana. “Ci sono regole, caro mio. Ed è importante che le persone le conoscano. Ci sono cose che non si possono fare ed altre che si devono fare. Elimina il “voglio” dalla tua vita, vecchio mio, ed avrai trovato il segreto della felicità. E peggio per chi non lo sa”.

Harald non amava particolarmente i colori. Beninteso non li ripugnava, ma li trovava fuori ordinanza. Civetterie per persone originali. Il grigio andava più che bene in ogni situazione. Dalla automobile al gilet. Il grigio è l’equilibrio, un po’ di bianco e, sì, anche un po’ di nero. Aveva però una vastissima gamma di grigi: Grigio chiaro, grigio ardesia, grigio asparago, grigio the verde, grigio ardesia chiaro, grigio argento, grigio talpa, grigio verde, grigio platino e addirittura grigio rosso chiaro. Ovviamente erano tutti colori autorizzati e decodificati nel catalogo come “gradazioni ufficiali di grigio”. Dio non volesse che avesse scelto, seppur tra i grigi, un colore non autorizzato e predisposto.

Harald sapeva che la vita è predisposta. Non era uno stupido. Sapeva bene che seppur le nostre volontà andrebbero verso altro, le nostre scelte devono assecondare la nostra realtà attuale, senza sovvertirla. Harald ricordava bene cosa successe al comandante di un battello di un vecchio documentario. Lo aveva stampato in mente. La corrente spingeva ad ovest e lui doveva andare ad est. Azionò i motori al massimo ed era fermo al centro dell’istmo con i motori che, seppur a piena potenza, contrastavano semplicemente la forza uguale dei flutti. Fermo controcorrente e col motore con i giri al massimo. Che figura per quel comandante. Quando vide quel documentario provò vergogna per quell’uomo e si coprì la faccia proprio come quando al cinema succede qualcosa di imbarazzante per il protagonista.

Com’è banale l’essere umano quando risponde agli stimoli. Ad esempio reagisce ad un pericolo solo, e ribadisco solo, attuando tre possibili azioni:  s’immobilizza, fugge o attacca. Mai che sotto assalto o in imminente pericolo si cantasse a squarciagola. O si saltellasse a destra e a sinistra eccitati. “Con comportamenti strani, senza regole, Harald mio non porterai a casa la pelle, le reazioni devono essere quelle, perché quelle hanno consentito all’essere umano di arrivare fino al duemila”. Diceva la mamma; un’accorta donna di specchiata moralità e mortalità. In genere a questa frase la donna accompagnava anche “Harald, gli impegni si mantengono perché le persone si aspettano da te che tu faccia fede alla tua parola. E pazienza se hai cambiato idea, le persone si aspettano da te quello che non possono ottenere senza di te. Altrimenti non confiderebbero in te. Il bene degli altri è tendenzialmente superiore al tuo. E tu hai meno bisogno di te rispetto a quanto gli altri abbiano bisogno di te”. Harald reagiva a queste parole con serenità. Era felice di non essersi indispensabile. Rientrava nel suo egoismo, nel suo modello di egoismo, un egoismo militante e altruistico per induzione materna. Perseguiva, Harald, le sue scelte perché erano già state prese.

Harald, meditabondo aveva camminato ancora per un po’ e quasi era a portata di mano della sedia. La quale non appariva più così invitante. Anzi a guardarla bene sembrava fosse stata oggetto nel corso degli anni di scarsa manutenzione. Non sapeva esattamente cosa s’intendesse per manutenzione di una sedia. Però la manutenzione era imprescindibile e andava applicata a qualsiasi cosa. Dal Jumbo Jet che passava sopra casa alle 17.44 alle sedie nei saloni.  Senza manutenzione tutto è perduto. Le cose non vanno fatte consumare. Non si devono logorare e se logore vanno prontamente mantenute. Ad esempio se una gamba di una sedia traballa vanno comperati gli appositi feltrini. E e se per caso la commessa preposta alla vendita dei feltrini fosse di cattivo umore e non raggiante, Harald si sarebbe interrogato sul motivo per ore. Non per filantropia, ma perché temeva che forse il suo solito modo di porgere i contanti, un po’ stropicciati al lato, l’avesse turbata in qualche modo. Spinto da quest’ultima considerazione Harald raggiunse il posto e si sedette.

La sala intanto si stava riempendo. Harald per la prima volta dopo giorni riuscì a rilassarsi, la conferenza sarebbe partita a breve. L’argomento era il suo preferito. Erano sei mesi che consumava il programma della giornata, ormai ridotto a pezzo di carta tipo iconografica mappa del tesoro. Harald, disteso, rilassato, con il suo globo totalmente e finalmente sotto controllo, dopo essersi accertato che non intralciava la vista a nessuno, si disse: “Finalmente incomincia la conferenza, la mia conferenza tanto attesa, sull’unico argomento per cui provi passioni ovvero: Considerazioni su…”. Un boato di assi rotti ammantò la stanza. Un sordo rumore di croccante, come patatine giganti masticate da immense fauci riempì inesorabilmente e in maniera assordante l’aria. In questa confusione solo un urlo gridato a squarciagola:  “Alfiere mangia pedone, in D5!!!”. Un immenso Alfiere mangiò Harald, che si era seduto esattamente dove non avrebbe dovuto: in D5. Ma lui non lo sapeva ed il caos come sempre diede forza di sé, riportando ordine con disordine. Perché in fondo la cosa che fa brillare gli occhi ai bambini, Harald incluso, è quando il treno deraglia e non quando inchiodato procede dritto sui binari.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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